A cura del Gruppo di Lavoro sulle Pari Opportunità
Parlare oggi di contrasto alla violenza di genere, con gli occhi e i cuori pieni del dolore per i recenti fatti di cronaca è un compito difficile. Facile è abbandonarsi alle semplificazioni, ai riduzionismi, alla ricerca del colpevole, alle facili ricette.
La violenza di genere è un problema sistemico, sociale e culturale, investe le nostre vite a più livelli, dal macro al micro, e proprio perché i piani che si intersecano sono molteplici e a vari livelli, il nostro sguardo di psicologi deve sempre essere rispettoso di questa complessità, per creare interconnessioni e collegamenti, per aprire spazi di pensiero piuttosto che dare risposte mosse dall’emotività del momento.
La violenza di genere è un modo di stare nelle relazioni (ma anche di fuggire da esse), è un comportamento scelto, un modo di pensare e di agire, la cui matrice è rintracciabile nelle istituzioni familiari e culturali che ci intenzionano e significano.
Nell’atto violento contro una donna ritroviamo tutte le fragilità della nostra epoca, dell’essere donna ma anche dell’essere uomo.
La violenza maschile contro le donne diventa oggi simbolo non del “patriarcato” ma della sua crisi, del suo essere non più forma di controllo o uso di mezzi di correzione un tempo legittimati, ma abuso e violazione dei diritti umani.
La crisi che molti uomini ancora vivono nell’incapacità di ritrovarsi nei tradizionali modelli obsoleti di mascolinità, nel vuoto che segna troppo spesso la socialità maschile tra uomini, nella impossibilità a riproporre modelli e linguaggi e prospettive di realizzazione di sé che il maschile offre e che appaiono ormai non più funzionali.
La differenza tra i generi, la costruzione identitaria della mascolinità e nelle femminilità è stata spesso ridotta all’unico campo semantico e simbolico dell’opposizione, della lotta , la differenza è invece la pratica fondante dell’identità che apre alla libertà dei soggetti, ne permette la consapevolezza e si pone come risorsa per se stessi e per tutti gli altri.
Ripensare alla relazioni tra i generi oggi significa partire da un discorso di co-costruzione identitaria, di risignificazione dello spazio e del tempo; significa investire a più livelli, sociale, economico, culturale, pedagogico, psicologico.
Non sono sufficienti qualche ora all’anno di educazione affettiva nelle scuole, non servono le battute di caccia al “narcisista patologico”, non basta l’inasprimento delle pene per i femminicidii, ma dobbiamo davvero “bruciare tutto” per rinascere come la Fenice dalle nostre ceneri.
Servono interventi strutturali per passare da una logica di lotta ad una logica del prendersi cura di, prendersi cura delle persone, delle relazioni, delle istituzioni.
Nessun intervento parziale su una sola di queste dimensioni può essere efficace. Servono interventi strutturali nelle scuole per creare gli spazi e le professionalità adeguate a formare all’affettività e alla sana relazionalità. Si devono fornire supporti strutturali alle famiglie per avere il tempo e lo spazio per coltivare il benessere di tutti i suoi componenti. Bisogna investire di più e in maniera continuativa per l’abbattimento di tutte le diseguaglianze.
C’è bisogno di investimenti strutturali per il rafforzamento di tutto il sistema di presa in carico delle fragilità. Abbiamo bisogno di luoghi e tempi per pensare il cambiamento. Dobbiamo inventarci nuovi modi e nuovi mondi per stare insieme, per gestire il conflitto, per riconoscerci nell’Altro.