Rifugiati in attesa di assegnazione di un porto sicuro: i fattori di rischio a carattere potenzialmente ri-traumatizzante
Etnopsicologia | 7 Novembre 2022

Attraverso un decreto ministeriale a due navi della Flotta Civile che da diversi giorni avevano chiesto un Place of Safety per portare a termine le operazioni di soccorso di centinaia di naufraghi è stata concessa la banchina di un porto solo temporaneamente e non oltre il tempo necessario per individuare i casi di vulnerabilità e fragilità a cui concedere lo sbarco.
Per la prima volta, quindi, il criterio differenziale da applicare seguendo queste nuove procedure è quello di autorizzare esclusivamente lo sbarco in un posto sicuro alle persone selezionate come fragili o vulnerabili e lasciare a bordo le persone non individuate come tali.
La condizione di fragilità, nello specifico e secondo quanto dichiarato dai referenti USMAF, viene accertata sulla base di condizioni mediche ed applicando asseriti criteri di scientificità. Non sembrerebbe essere rilevante la condizione psicologica delle persone a bordo, ma anzi essa è ritenuta un “elemento di secondo livello” quindi di inferiore importanza come attestato dalle dichiarazioni dell’USMAF regionale e dal non coinvolgimento nelle operazioni di colleghi psicologi e psicoterapeuti.
In merito, il Gruppo di Lavoro in “Etnopsicologia e psicologia delle migrazioni” istituito presso l’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana ricorda che la popolazione dei migranti in arrivo via mare in Italia presenta una complessa configurazione di fattori di rischio per lo sviluppo di disagio psicologico. Ciò viene affermato in ragione delle condizioni del viaggio, dell’esposizione a traumi estremi, torture ed altre violenze intenzionali. Molti sono spesso vittime di naufragi ed operazioni SAR in cui hanno visto morire familiari ed altre persone significative.
In quanto professionisti della salute mentale, del resto, non possiamo fare a meno di sottolineare che l’attesa dell’assegnazione di un porto sicuro e, in seguito, l’esposizione a procedure mediche volte ad accertare presunte condizioni di vulnerabilità ed il trattenimento a bordo in assenza di fragilità, rappresentano ulteriori fattori di rischio ed hanno un carattere potenzialmente ri-traumatizzante, capace di vulnerabilizzare le persone migranti ed alimentare il loro malessere. Le persone in una simile condizione, infatti, vivono uno stato angosciante di incertezza, sono esposte a barriere linguistiche e sono vittime di lungaggini burocratiche e processi francamente discriminatori. Si tratta di questioni che minano il senso di sicurezza percepito delle persone in una condizione in cui, sembra quasi superfluo ricordarlo, sarebbe fondamentale ristabilirlo al più presto.

Inoltre, come sottolineato nelle Linee Guida del Ministero della Salute “Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” del 2017: “Tutti i rifugiati sono da considerarsi come soggetti potenzialmente vulnerabili, poiché l’esilio è di per sé un’esperienza di tipo traumatico. […] I RTP vittime di tortura, stupro, abusi o traumi estremi di altra natura (prolungate prigionie in isolamento e/o in condizioni disumane e degradanti, naufragi, testimoni di morti violente, etc.) possono presentare quadri clinici psicopatologici manifesti, latenti o sub-clinici. Questa tipologia di rifugiati deve essere considerata ad alta vulnerabilità ed è perciò necessario mettere in atto azioni e procedure specifiche mirate all’individuazione precoce di queste persone. Queste sono forme di esperienze traumatiche che rientrano nella categoria dei cosiddetti traumi estremi. I traumi estremi sono traumi di natura interpersonale, ripetuti o prolungati nel tempo, subiti in regime di coercizione o di impossibilità alla fuga.
Le esperienze traumatiche estreme possono determinare, oltre ai sintomi comuni del Disturbo Post Traumatico da Stress, anche altre conseguenze psicopatologiche specifiche e complesse. In particolare: disturbi dissociativi psichici e somatici, tendenza alla re-vittimizzazione, perdita del senso di sicurezza e del senso di sé, disturbi da iperarousal, disturbi affettivi e relazionali.
Questo particolare quadro sindromico viene attualmente riconosciuto come un’entità clinico-diagnostica specifica definita “PTSD con dissociazione” o come “Complex PTSD”. Le manifestazioni cliniche dei disturbi post-traumatici complessi (depersonalizzazione, de realizzazione, assorbimento immaginativo, disturbi mnesici e cognitivi, etc.) differentemente dalle manifestazioni caratteristiche di altri quadri psicopatologici, sono multiformi e insidiose e, per loro stessa natura, difficilmente rilevabili e diagnosticabili, specialmente per medici e psicologi senza una specifica formazione ed esperienza. In questi casi il rischio di misconoscimento o di una diagnosi errata risulta molto elevato. I disturbi possono rimanere misconosciuti e latenti anche per lunghi periodi di tempo.”

Tutte le persone attualmente a bordo sono da considerarsi clinicamente vulnerabili ed è presente il rischio di aggravare le loro condizioni a causa dell’angosciante attesa e dell’assistere inermi ad un processo inumano di selezione per lo sbarco. La selezione di un gruppo a sfavore di un altro, peraltro, potrebbe avere una portata psicopatologizzante nella strutturazione di quello che viene definito trauma cumulativo.

La tempestività di un trattamento adeguato in servizi con competenze specialistiche è quindi cruciale e ha come presupposto indispensabile una precoce e corretta diagnosi.
Per tali ragioni, auspichiamo che sia tutelato il diritto alla salute delle persone coinvolte con il completamento delle operazioni di sbarco e la garanzia dell’accesso alle giuste cure e alla giusta accoglienza.
Sottolineiamo la rilevanza di affiancare al personale medico- infermieristico anche professionisti psicologi e psicoterapeuti. Ribadiamo l’importanza di garantire adeguati servizi di mediazione linguistico-culturale al fine di ridurre l’impatto traumatizzante dell’attuale trattenimento a bordo.

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