Un viaggio lungo un anno: la storia di Clara
Esperienze cliniche | Aprile 2022
Autore: Claudia Parasporo

Riflessioni sul tempo, sui confini, sulle possibilità delle relazioni di cura in pandemia

Siamo fatti anche di tempo, di un racconto aggrovigliato che non si dipana più da un anno. Clara è rimasta ingabbiata in un fragile guscio, esasperata dal dolore che migra su e giù per il suo corpo, spostandosi da qui a lì operando mimesi inattese e ricomparse furiose ma sempre travalicando il limite della sua sopportazione. Improvvisamente adesso emerge il terrore nel sentire avverarsi le più buie paure sulla sua salute. Sta accadendo davvero, dopo anni di ricerche inutili, protratte, ripetute, nel tentativo di accertarsi dell’esistenza di patologie, neoformazioni, cisti, lesioni, tessuti degenerati, finora niente di tutto questo era risultato vero.
Oggi invece, il dolore delle piccole pietre che si muovono dentro il corpo attraverso l’apparato urinario viene riconosciuto, vissuto, individuato, intercettato dentro di sé millimetro per millimetro, descritto, quasi segnasse un immaginario percorso sospeso tra immobilismo ed ultradinamismo. Ma più terrificante ancora è l’idea che davvero, nella realtà accade, si sta verificando l’attesa catastrofe, dimostrata dalle immagini radiografiche che palesano l’esistenza di piccole stelle di calcio taglienti ed affilate. Ora, questa evidenza è all’origine di uno sgomento che provoca terrore: il dolore insopportabile che scatena l’angoscia di perdersi, morire, di non essere al sicuro in nessun luogo e che nessun luogo oltre la casa possa essere abitato. Il timore della vita che sfugge e di non essere più in grado di viverla si trasforma in panico che porta via il pensiero e genera sintomi multiformi, colite, gastrite, insonnia e tachicardia.
Che corpo malato può sopportare e sostenere l’angoscia della malattia stessa con il suo carico di dolore e certezza? Come far fronte all’ansia divorante che crea un rumore di sottofondo incessante nella testa saturandola delle innumerevoli declinazioni di una stessa domanda: quando starò di nuovo male? Così si presenta Clara al nostro primo incontro nel mese di Gennaio dell’anno pandemico 2021. Ha 32 anni e vive intrappolata in una realtà concreta, corporea e materiale.

L’inverno precedente, quello del 2020, era stato teatro di guerra a Milano, città in cui Clara, da palermitana, aveva vissuto negli ultimi anni con marito e figlia piccola. Il Covid si era portato via tanti, soprattutto moltissimi nonni, genitori di amici, di colleghi. L’ondata virale aveva travolto gli affetti più cari, le fragili radici delle famiglie, lasciando un vuoto nero. Il lockdown durissimo aveva poi spazzato via la vita di prima, sciogliendo pian piano quella che era sembrata la vita vera in una solitudine densa, isolando Clara e la sua famiglia in una bolla. I lunghi mesi erano poi trascorsi in una sospensione attendista ed anche nella relativa sicurezza dell’improbabilità di un contagio si era fatta strada una profonda inquietudine. All’arrivo dell’estate, come sempre, si era prospettato finalmente il momento di tornare a Palermo, città d’origine dove la famiglia aveva da sempre rappresentato un fortissimo punto di riferimento. Sembrava quasi una liberazione, il mondo intorno ripartiva, i contagi scendevano e si navigava nell’illusione che il Covid potesse presto esaurirsi.

Finite le vacanze nel mese di Settembre 2020 il rientro a Milano arriva come il solito strappo, più che un ritorno a casa, un abbandono vissuto da Clara con la rabbia di chi è costretto alla lontananza. Significa ancora una volta lasciare la famiglia con i suoi equilibri consolidati, certi, ma anche statici in cui la madre, insieme alla coppia di zii, funge da centro di gravità intorno al quale tutto si muove, è dato, prestabilito e poco spazio viene lasciato alle evenienze. Soprattutto esistono le direttive familiari più o meno esplicite. La zia materna e lo zio, dopo la morte del padre, non solo hanno molto sostenuto la madre di Clara aiutandola ad andare avanti e nella cura dei figli, ma hanno anche assunto un ruolo di responsabilità forte anche nei confronti dei nipoti. La relazione con gli zii sembra infatti aver faticato ad evolversi nel tempo, assumendo tratti autoritari che hanno reso inutili i tentativi di affrancarsi dal loro parere definitorio e categorico. Affidare agli zii la capacità di comprendere la realtà, stabilendo quale forma di verità, di volta in volta, debba assumere la realtà se da un canto genera un “noi” stridente, sembra però anche tenere le relazioni familiari in una strana forma di accordo perfetto. In questo scenario relazionale anche la spinta desiderante, più profondamente vitale che Clara ancora riesce a tratti a contattare, sembra schiacciata in uno spazio esiguo.
In questi recenti anni di vita milanese la madre di Clara è stata molto presente trascorrendo lunghi periodi ospite a casa della giovane famiglia, aiutando di certo, ma anche sottraendo spazi di intimità alla coppia. È stata una madre affettuosa e coraggiosa vedova da anni del marito deceduto all’età di 50 anni in seguito una lunghissima malattia: un cancro al cervello che lo ha portato via in un tempo lungo circa una decina di anni, gli anni della pubertà e dell’adolescenza di Clara. Il lutto straziante viene vissuto da Clara, fin da allora, soprattutto nella necessità di tirare avanti, studiando prima e lavorando dopo per ripianare debiti, senza mai poter tornare né col pensiero né con le parole al ricordo del padre. Il dolore di questa gravissima perdita rimane muto, perduto come inabissato nell’impossibilità di contattare il portato emotivo che scatenerebbe.

Nell’Ottobre 2020, al primo freddo, la pandemia produce nuove ondate di recrudescenza. Riprendono forza i contagi, a Milano ricomincia la giostra dell’orrore per Clara che sente di vivere un incubo in cui il mondo di fuori conferma e rinforza il sentire mortifero di ciò che le accade dentro. Quel malessere strisciante che negli anni precedenti frequentemente si era trasformato in ansia ipocondriaca esplode oggi nella reale violenza delle coliche. Impossibile tener testa alla paura quando il medico conferma la diagnosi di calcolosi renale. Lo sgomento si materializza diventando un’ansia a pelle che sulla pelle si sente e si stende rendendo il contatto col mondo impossibile, mai abbastanza vicino, comprensivo, rassicurante ma al tempo stesso doloroso perché sbagliato, inaccettabile, disattento ai suoi occhi. I contatti con il medico sono quasi esclusivamente telefonici per via delle procedure anticontagio e questo le fa vivere un profondo senso di abbandono e desolazione.
Clara con molta fatica riesce a condurre una vita lontanamente e apparentemente normale, in smart working porta avanti un lavoro d’ufficio e si occupa della sua famiglia come può, mentre viene divorata dalla paura. Niente e nessuno può rassicurarla o contenerla, le coliche si alternano alle crisi di ansia, il malessere diventa un flusso pervasivo che la inchioda in una confusione tra corpo e mente, tra presente e futuro, tra terrore e dolore, Il marito a questo punto è molto preoccupato per le condizioni di Clara, anche lui lavora da remoto e propone un rientro a Palermo prima del Natale senza data di ritorno a Milano, nella speranza che la presenza della famiglia possa giovare alla moglie.
A Palermo però nulla sembra migliorare, anzi, continui stimoli partono dalla vescica e tengono Clara ostaggio di una condizione paradossale in cui nulla sembra più avere un senso chiaro. Forse ancora il passaggio dei maledetti calcoli oppure una sopravvenuta cistite o ancora la paura che si deforma diventando stimolo neurovegetativo? Anche a Palermo intanto riprendono i contagi e la paura del Covid si aggiunge a tutte le altre disegnando il percorso labirintico con cui si inscrive nel corpo e diventa sofferenza cieca.

A Gennaio del 2021 Clara mi contatta per iniziare un percorso di psicoterapia che è tuttora in corso. Da allora, la sua terapia si articola tra il lavoro in presenza e quello on line, contraddistinta dal continuo andirivieni da sé al sintomo, nel tentativo di ascoltare la sua flebile voce raccontarsi sotto i sintomi urlanti. Fin dai primi incontri si stabilisce una buona relazione tra noi e il lavoro analitico sembra aprire una possibilità del tutto nuova, l’idea di concedersi uno spazio da abitare, tutto da riempire non solo di lamentose ripetizioni ma di riflessioni, aperture, riletture.
Mi colpisce l’impossibilità, nei primi tempi della terapia, di parlare della dolorosissima storia di malattia del padre, che rappresenta l’indicibile, quello che non si riesce né a pensare né a rappresentare di sé. Così Clara si approccia alla vita, con poche parole e dissidi interiori, concentrata com’è a vivere una vita “normale” o a soffrire per l’ansia e la paura delle malattie, ma anche senza che tutto questo le impedisca di sentire forte il desiderio di uscire da questo personale ed eterno lockdown.
I sintomi prendono moltissimo spazio anche nella terapia e non sempre è possibile lavorare se non sostenendo e contenendo le sue angosce profonde e pervasive. In questi casi Clara mi da l’impressione di cibarsi delle parole delle nostre sedute, le tiene dentro, si aggrappa alla possibilità di occuparsi di sé scostandosi da ciò che si è sempre ripetuta in un rimbombante vuoto di senso. Il suo corpo risuona come un ripetitore di angosce in cui riecheggiano tutte le questioni connesse alla storia affettiva ed al destino dei legami familiari: Clara, infatti, può più facilmente pensarsi come una donna malata che lontana dalla madre e dalla famiglia d’origine. Seppure la convivenza in casa della madre non sia facile le sembra l’unica scelta possibile al momento e rifiuta categoricamente di programmare il rientro a Milano.
Tra le angosce proiettate sul corpo c’è anche la paura dei farmaci. Inizialmente spaventata dall’idea di avvalersi di un aiuto farmacologico, per paura di instaurare dipendenze – immaginandosi come sempre in un’assenza di tempo e di senso – accetta faticosamente la possibilità di chiedere un consulto psichiatrico per una cura di supporto. Credo che questo sia un primo passaggio di senso in cui da una corporeità reificata, spoglia e carente di rappresentazione accede ad una corporeità che inizia ad esistere anche sul piano simbolico e relazionale nell’interscambio tra un sé che soffre ed un sé in una relazione di cura, di affidamento.
Tra frammenti anamnestici e ritagli di presente ricostruiamo faticosamente lo scenario di una rappresentazione di sé effimera, più che fragile. Ad un piano visibile di vita vissuta, anche attraverso l’accadere di eventi importanti e positivi, quindi gli studi, il matrimonio, la maternità, corrisponde una profonda difficoltà di riconoscersi in questa trama come voce narrante, in una percezione spontaneamente aderente tra sé e la propria storia. L’ansia che da sempre la accompagna infatti le ha reso la vita difficile tenendola ferma sulla superficie delle cose accadute, spesso sentendo di dover occuparsi del proprio sprofondare nel buio che alle volte minaccia di allontanarla dalla realtà. In questa enorme fatica di tenere insieme se stessa, irrigidita in questa necessità da tempo, inizia a sembrare via via un po’ meno distante dal contatto profondo con gli altri, oltre che con sé, e dall’ enorme e complesso lavorio che la vita di relazione richiede.
Nel mese di Marzo la giovane coppia decide di rientrare a Milano, Clara sente di farcela e così è. Tra mille paure e dubbi sulla propria tenuta, sentendo la paura di poter stare peggio ma anche la sensazione di poter riprendersi un pezzo importante di vita.
Il rientro non è semplice e tra il ritorno dei contagi e la routine isolata trascorrono mesi difficili. Con sforzi titanici, combattendo tra la fatica e la paura, Clara riprende anche gli studi, consegue la laurea magistrale, lascia il lavoro d’ufficio ormai da troppo tempo insoddisfacente.
Il lavoro terapeutico prosegue e continua ad accompagnarla nel ripensarsi dentro i legami, Clara si racconta, assume prospettive che le consentono finalmente di avere uno sguardo più suo, visualizza ed assapora i suoi vissuti, i ricordi, le emozioni che la attraversano.
Così facendo si scopre dentro grandi fragilità mai contattate né elaborate e con la grande paura di rappresentarsi nelle relazioni con gli altri mantenendo un senso di sé autentico e autonomo.
Il rapporto con il mondo per Clara, inizialmente mediato da una relazionalità essenziale, per cui si fanno le cose come si deve – ciò che gli altri si aspettano – spesso in una sorta di finzione semplificatoria che nasconde un vissuto di incertezza, sembra pian piano cambiare.
Scopriamo inaspettatamente la possibilità di legittimarsi anche in un sentire divergente, tutto suo.
L’ autentico calore affettivo che sperimenta nei rapporti con gli altri la aiuta molto perché facilita la possibilità di sentirsi comunque al sicuro, nonostante le possibili o reali divergenze. Fra paure e timori si rivela anche la capacità di “tener testa” per difendere le proprie convinzioni senza temere ansiosamente rotture insanabili, anzi ironizzando su quanto sembri l’inizio di una nuova possibilità relazionale per lei e forse meno per gli altri.
Intanto continuiamo a tessere la trama della sua storia, tra alti e bassi, perché spesso in questo anno sono tornate le angosce ipocondriache che hanno anche cambiato la loro destinazione. Alcune volte si manifestano sul piano dermatologico, poi si spostano su quello gastrico, ultimamente su quello ginecologico. Quando arrivano la spogliano di tutto, togliendole la connessione con la sua soggettività, con il suo sguardo e il suo vivere mentre io sono lì a presidiare il nostro lavoro, a ricordarle chi lei sia e possa essere.
Rimane forte il nostro legame terapeutico che si nutre anche di un affetto sincero e che ci consente di tenere stabile questa relazione anche nelle distanze e nelle ripartenze.
Ogni tanto Clara mi ripete che non mi lascia e che, riguardando indietro al 2021, oggi si sente un’altra persona, io mi dico e le ripeto che sicuramente, in qualche modo, ce la faremo.