Semaforo rosso e semaforo verde: STOP & GO
Autore: Antonietta Germanotta

Quella che racconto è la storia di Nina che, contattandomi con l’idea di voler eliminare un sintomo (farsi le canne), inizia a sviluppare il desiderio di voler iniziare una psicoterapia individuale per svincolarsi dalla propria famiglia d’origine.
Non avrei rimosso gli spinelli ma avrei effettuato un parallelismo tra lei, persona, e lei che assumeva le sostanze

Lavorando con la famiglia che la paziente ha in testa, ho compreso la funzione del sintomo e ho potuto cominciare a capire a chi fosse destinato il suo dono d’amore… Sin dai primi minuti del nostro primo colloquio mi diceva di avere deciso di venire in terapia per smettere una volta per tutte di spaccarsi di canne. Avendo abbastanza chiaro che ogni psicopatologia è un dono d’amore, volevo capire a chi fosse rivolto questo dono e, soprattutto, cosa significasse. Le canne erano per lei un’auto-cura, una sorta di auto-terapia inconsapevole; abbiamo intercettato i vantaggi del farsi gli spinelli, chiedendole a cosa, e per cosa, le giovassero.

Dopo alcune sedute le ho fatto fare il Diagramma del benessere, “una tecnica grafica che permette di raccontare la storia personale, di coppia o familiare e aspetti disfunzionali di essa attraverso l’utilizzo del linguaggio analogico. La consegna è di ‘rappresentare tramite un diagramma quanto la persona è stata più o meno bene e più o meno male nella sua vita, attribuendo un punteggio da 1 a 10, anno per anno’. Sulle ascisse vengono indicati gli anni, sulle ordinate i punteggi. Al termine del lavoro i punteggi vengono tra loro collegati originando la ‘curva del benessere’, che dà un’idea di come la persona ha percepito il proprio stato di benessere nel corso del tempo” (Colacicco, 2013). Inizialmente mi diceva di non ricordare nulla dei suoi primi nove anni di vita e ha faticato ad attribuire un punteggio a quegli anni. Pian piano, sono riemersi episodi che non pensava di avere in memoria; le era piaciuto molto perché l’aveva indotta a riflettere, e soffermarsi, su episodi del suo passato, quasi come se avesse trovato delle cose preziose rinchiuse in un cassetto.

Con un parallelismo tra modalità di funzionamento e storia personale, abbiamo lavorato con le sue figure di attaccamento. L’aiuto terapeutico è come se passasse attraverso la rappresentazione della famiglia che la paziente si porta in testa (Benjamin, 2004); è per questo che durante il percorso terapeutico si è affrontato il rapporto con ogni membro della famiglia, quelli tra di loro e ciò che lei pensava di ognuno di loro. “Secondo i terapisti sistemici è indispensabile, per tutti coloro che svolgono attività clinica, raccogliere informazioni e conoscenze sull’intero nucleo familiare” (Colacicco, 2013). Pur non essendo fisicamente presenti nella nostra stanza di terapia, infatti, ogni membro della famiglia di Nina popolava, e partecipava, alle sedute dando significato a ogni sintomo, resistenza e agito. Ho avuto la possibilità di entrare in contatto con le sue figure introiettate. “Spaccarsi di canne”, crea una relazione particolare all’interno della quale la paziente influenza i comportamenti dell’altro e, al contempo, comunica che non lo sta facendo, in quanto non ne è responsabile, poiché il sintomo è per lei incontrollabile (“Oh dottoressa, io non ci posso fare niente, mi deve aiutare lei!”). Farsi le canne procura, infatti, un potere a Nina: avere il controllo della relazione. Tale duplice aspetto del sintomo, da una parte manifestazione di disagio e dall’altro produttore di vantaggi secondari, genera una situazione paradossale dalla quale per lei è molto difficile tirarsi fuori. Il sintomo non riguarda solo lei ma tutto il sistema; è una risposta a una situazione per la quale è funzionale. Il sintomo ha una doppia valenza: se da un lato conserva il sistema, dall’altro lo spinge a cambiare; lavorando sulla seconda valenza, alleandomi con la sua parte verde, la affiancavo, la supportavo nel suo processo di cambiamento. Secondo la Benjamin, infatti, le figure di attaccamento trasmettono delle regole che possono essere codificate in rosse e verdi. Sostiene, infatti, che i termini rosso e verde rappresentino delle allegorie che riguardano le abitudini interpersonali e intrapsichiche apprese in relazione alle persone amate: i modi di fare disfunzionali riguardano il primo termine, quelli funzionali il secondo. Grazie agli spinelli evitava i conflitti familiari. Jackson (1965) e Minuchin (1975) sostengono che sia l’intero sistema a utilizzare il sintomo quale tattica per sfuggire il conflitto e non fronteggiare i cambiamenti evolutivi a cui sarebbe chiamata (la volontà della paziente di andare a vivere da sola). La parte verde è come se attuasse cambiamenti e imparasse nuovi modi di agire.

Durante una seduta Nina mi disse di attivarsi, sia in stanza di terapia sia per recarsi in terapia, per poi magari autorizzarsi a essere passiva per la rimanente parte della giornata, a volte anche per i giorni seguenti. Se io avessi mantenuto il suo cervello sveglio avrei assunto il ruolo di sua mamma e la meta-comunicazione sarebbe stata “Non fare come tuo padre!”; papà che era considerato, e definito, dalla mamma come modello sbagliato da attaccare e al quale opporsi. La mamma aveva sempre cercato, a suo modo, di fare di tutto per far sì che Nina non fosse come il papà, ma lei funzionava come lui; agire come il padre le consentiva di preservarlo e aiutarlo. La paziente proteggeva sia il padre che la madre: il primo agendo proprio come lui, la seconda rendendola viva affinché si impegnasse per far sì che la figlia non facesse come il padre. Canne e sballo la aiutavano a tollerare quella situazione stressante. Ho trattato con lei il timore di cambiare e le due alternative: quella che la induceva a chiedere aiuto (perché non ce la faceva più) e quella che resisteva, ma al contempo le dava sicurezza, conosceva e sapeva percorrere bene. Mi sono alleata con la sua parte verde, quella che l’ha spinta a chiamarmi e chiedere aiuto perché voleva cambiare. Nina, a un certo punto del nostro percorso psicoterapeutico, mi comunica di aver vinto una borsa di interscambio culturale (Erasmus) e, dopo alcuni mesi, si sarebbe trasferita all’estero; mi chiede se ci fossimo potute fermare per quel periodo, per poi riprendere al suo ritorno, e se qualora ne avesse avuto bisogno avessimo potuto effettuare qualche seduta online. Ho acconsentito e le ho proposto di effettuare una valutazione del nostro viaggio insieme affrontando punti di forza, criticità e situazioni problematiche ancora presenti; la deadline ci aiutava; nei tre mesi successivi ci siamo soffermate su alcuni obiettivi avviandoci alla chiusura (o pausa come mi ripeteva sempre Nina). Si sentiva rinata rispetto al nostro primo colloquio, come se fosse in un’altra fase di vita (o meglio, del suo ciclo evolutivo). Da un’iniziale situazione statica, all’interno della quale predominava la parte rossa del non fare niente e stare ferma, ha prevalso la parte verde dell’essere pro-attiva.
Sono tanti i traguardi che aveva raggiunto; a ridosso della conclusione del nostro viaggio, infatti, aveva messo le spunte verdi a cose da fare che procrastinava da anni.

BIBLIOGRAFIA
L. Smith Benjamin, La Terapia Ricostruttiva Interpersonale. Promuovere il cambiamento in coloro che non reagiscono, Roma, Las, 2004
F. Colacicco, La mappa del terapeuta, Roma, Scione Editore, 2013, p. 93
D.D. Jackson, L’omeostasi familiare e il medico, 1965 su L. Onnis, Famiglia e malattia psicosomatica, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1988
S. Minuchin et Al., Un modello concettuale sulla malattia psicosomatica dei bambini, 1975, su L. Onnis, Famiglia e malattia psicosomatica, La Nuova Italia Scientifica, 1988

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