Burnout e processi di regolazione emotiva
Testimonianze | Marzo 2021
Autore: Simona Lonobile

Co-autori:
Francesco Vullo, Tiziana Cinquemani, Rosanna Montana.

 

L’approfondimento della relazione esistente tra Burnout e “Processi di regolazione emotiva” nasce dall’esigenza di comprendere se determinate strategie di lavoro emotivo possono essere considerate fattori protettivi rispetto alla manifestazione sintomatologica della Sindrome da Burnout.

Il Burnout è un processo stressogeno caratteristico di determinate professioni socio-assistenziali che considerano la relazione d’aiuto come base della propria modalità d’intervento nei confronti di quegli utenti che avanzano richieste d’aiuto ee di supporto soprattutto da un punto di vista sociale e psicologico.

La Sindrome da Burnout può, quindi, essere descritta come l’esito patologico di un processo distressante caratteristico delle helping professions, in cui l’operatore non riesce a gestire in maniera adeguata il forte carico emotivo causato dalla specificità della propria professione. Nel corso del tempo si sono susseguiti numerosi studi e ricerche, i quali dimostrano che i fattori personali o organizzativi possono inficiare le capacità della persona nella gestione del grande carico delle emozioni derivanti dal proprio ambito professionale.

Quel che più ci ha interessato, in qualità di componenti dell’Equipe Multidisciplinare del Distretto D-5 che prestano servizio presso gli Uffici di Servizio Sociale del Comune di Palma di Montechiaro (AG), relativamente ai fattori più prettamente personali, è il ruolo che i cosiddetti “processi di regolazione emotiva” giocano nella genesi della Sindrome. Ogni giorno ci troviamo di fronte ad utenti, nuclei familiari che vivono in condizioni economiche al di sotto della soglia di povertà, con numerose difficoltà che inducono in noi un forte carico emotivo che non sempre ci troviamo pronti ad affrontare. Per tale ragione ci siamo interrogati sulle possibili strategie da utilizzare per ridurre al minimo le conseguenze negative indotte da una continua esposizione a situazioni emotivamente poco sostenibili e che richiedono a noi operatori sociali un ruolo di forte responsabilità anche a volte in assenza di certezze a livello sociale e territoriale.

Nella nostra cultura occidentale e, generalmente, in un mondo che innalza la razionalità, è spesso credenza comune che le emozioni devono necessariamente essere controllate dalla ragione, o addirittura annullate, al fine di evitare che queste ultime possano orientare l’individuo a mettere in atto comportamenti scorretti da un punto di vista sociale. Dai numerosi studi in ambito psicologico sappiamo, invece, che le emozioni sono funzionali al nostro benessere psicofisico, e che rivestono un ruolo fondamentale nei processi decisionali e nei rapporti interpersonali; è stata, altresì, messa in evidenza la loro imprescindibile caratteristica di “regolabilità”, in quanto le emozioni che noi proviamo rappresentano l’esito finale di un processo di autoregolazione, spesso inconsapevole, che va a mitigare l’intensità e la modalità espressiva delle stesse. Tale processo è sollecitato sia dalle risorse interne all’organismo dell’individuo sia dall’ambiente circostante, e per tale ragione il fine emozionale non sempre è attiguo alle regole sociali, e quindi con ciò che è socialmente accettabile e desiderabile.

Il processo attraverso cui l’individuo diviene capace di modulare e, di conseguenza, modificare le proprie emozioni, e l’espressione di queste ultime, è definito “Lavoro emotivo o Emotional labour”, il quale implica un gran numero di diverse variabili e caratteristiche personologiche, in particolare, dalle capacità cognitive di base fino alle abilità di metacognizione, le quali richiedono un elevato livello di consapevolezza delle “strategie” di regolazione emotiva utilizzate per un buon esito del processo.

La letteratura scientifica, relativamente alle strategie di regolazione emotiva utilizzate, individua due modalità specifiche:

  • Il “Surface Acting”: è una strategia relativa alla modificazione dell’espressività esteriore delle emozioni, quindi un mutamento definito “di superficie”, allo scopo di aderire ai sentimenti richiesti da una determinata tipologia di lavoro;
  • Il “Deep Acting”: è quella strategia che prevede una trasformazione delle emozioni “in profondità” al fine di esprimere la reale emozione richiesta da un particolare contesto lavorativo.

 

Il Surface Acting consente all’individuo di modificare le proprie espressioni emotive, quasi sempre fingendo semplicemente una data emozione per aderire alle regole imposte dalla società e dalla cultura di appartenenza, le quali stabiliscono chi può esprimere una determinata emozione, con quale intensità e in quale contesto.

Il Deep Acting prevede, invece, una lettura più profonda del proprio stato emotivo in cui l’individuo cerca di esprimere l’emozione che sta realmente provando. Attraverso l’utilizzo di tale strategia l’impatto sugli altri, e in particolare sugli utenti delle helping professions, sarà più forte in quanto l’emozione espressa è più autentica rispetto a quella manifestata attraverso la modalità del Surface Acting.

La strategia profonda di regolazione è spesso correlata, nei contesti professionali, ad una riduzione dello stress e ad un innalzamento del senso realizzazione personale; diversamente, la modalità superficiale è il più delle volte associata ad elevati livelli di stress, di esaurimento emotivo, depressione e senso di non autenticità. Eppure, malgrado ciò, nelle helping professions, l’operatore tende maggiormente ad utilizzare il Surface Acting, in quanto quest’ultima modalità è più facilmente accessibile, più semplice e meno rischiosa, in quanto richiede meno costi dal punto di vista emotivo e psicologico e, oltretutto, risulta in misura maggiore aderire alle regole e alle aspettative sociali.

L’esito finale del processo di “Lavoro Emotivo o Emotional Labour” risulta fondamentale nel comprendere una delle possibili cause della Sindrome da Burnout.

Hochschild afferma che il lavoro emotivo sollecita in misura maggiore le emozioni non autentiche, in quanto la persona che non riesce a mantenere gli elevati costi psicologici di tale processo tende a sopprimere un’emozione in favorire di un’altra non autentica ma  ritenuta più adeguata al proprio ruolo nel contesto professionale di appartenenza, poichè spesso l’emozione autenticamente provata non coincide con quella socialmente desiderabile provocando la cosìdetta “dissonanza emotiva”, definita come il processo di separazione tra emozioni espresse ed emozioni percepite. Il “lavoro emotivo”, contrariamente a quanto si possa pensare, appare più semplice a chi non ha sviluppato una competenza emotiva, a chi, in particolare, non ha ancora acquisito consapevolezza delle proprie emozioni, però, nello stesso tempo, questi ultimi incorreranno a conseguenze emotive e psicologiche più dannose, in quanto se la persona non ha maturato la propria intelligenza emotiva e, quindi, la capacità di percepire, riconoscere, esprimere ed utilizzare al meglio le proprie emozioni, tutto quello che è “emotivo” sarà accantonato, non elaborato ad un costo altissimo per la propria salute psicofisica, in quanto tali emozioni sconosciute possono esplodere in maniera incontrollata dando vita a manifestazioni patologiche.

Nel burnout, infatti, si evidenzia la difficoltà a misurarsi con le proprie emozioni e ad avere consapevolezza del problema: il conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita caratteristico di tale Sindrome comporta un ritiro sociale e forme di depersonalizzazione, poiché si tratta di meccanismi di difesa utili a consentire all’individuo di sopravvivere e a ridurre l’immensa sofferenza provata.

Al fine di valutare l’eventuale correlazione tra il Burnout e le strategie di regolazione emotiva utilizzate, e nello specifico se una determinata strategia può essere considerata un fattore protettivo rispetto ad un’altra nella manifestazione sintomatologica della Sindrome, abbiamo approfondito 5 articoli della letteratura scientifica più recente sulla correlazione tra i concetti chiave “Burnout” e “Emotional labour”:

  1. Pandey J.Singh M.“Donning the mask: effects of emotional labour strategies on burnout and job satisfaction in community healthcare”.[1]: una ricerca effettuata su un campione di 177 operatori della salute sociale in India. Questo studio empirico indaga il legame tra lavoro emotivo superficiale e di alto livello, burnout e soddisfazione lavorativa nelle donne operatrici della comunità dell’India. I risultati indicano che il lavoro emotivo a livello superficiale è associato ad un più alto livello di soddisfazione lavorativa, a differenza del lavoro emotivo più profondo, e il burnout, nel primo caso media in parte questa relazione, e nel secondo caso media pienamente la relazione tra lavoro emotivo e soddisfazione lavorativa.

 

  1. Edward K.L.Hercelinskyj G. Giandinoto J.A.“Emotional labour in mental health nursing: An integrative systematic review”[2]: si tratta di una revisione di 20 articoli selezionati su studi effettuati sugli infermieri della salute mentale avente lo scopo di analizzare la strategia utilizzata nel lavoro emotivo degli operatori della salute mentale. Dai risultati della revisione emerge che le variabili del lavoro emotivo, dell’esaurimento emotivo e dell’intelligenza emotiva sono interrelate tra loro in quanto influiscono sulla comparsa della Sindrome da Burnout e sulla più alta possibilità di abbandonare il lavoro, e, inoltre, la strategia di regolazione superficiale delle emozioni espone maggiormente gli operatori agli effetti negativi del burnout.

 

  1. Weaver A.D.Allen J.A.“Emotional Labor and the Work of School Psychologists”.[3]: una ricerca effettuata su un campione di 156 Psicologi scolastici degli Stati Uniti che si è posta l’obiettivo di vagliare la relazione esistente tra lavoro emotivo superficiale e burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale). In particolare, i risultati della ricerca hanno evidenziato che il lavoro emotivo superficiale è positivamente correllato all’esaurimento emotivo e alla depersonalizzazione, invece è negativamente correlato alla soddisfazione lavorativa e alla realizzazione personale.

 

  1. Wang W. Ke Z. “Employees’ emotional labor and emotional exhaustion: trust and gender as moderators”.[4]: una ricerca condotta su 679 impiegati di servizio in Cina in cui sono state approfondite due tipologie di strategie di regolazione emotiva, quella superficiale e quella in profondità, ponendole in relazione con altre due variabili: il genere e la fiducia degli operatori nei confronti dei propri colleghi. Lo studio ha mostrato che esiste una correlazione di tipo negativo tra la strategia profonda di regolazione emotiva e l’esaurimento emotivo, rafforzata ancor di più dalla fiducia nei colleghi; inoltre, è stata messa in evidenza l’esistenza di una correlazione positiva tra la regolazione emotiva superficiale e l’esaurimento emotivo.

 

  1. Lavee E. Strier R. “Social workers’ emotional labour with families in poverty: Neoliberal fatigue?”[5]: una ricerca condotta su 39 Assistenti sociali dei servizi pubblici: uno studio condotto su un gruppo di assistenti sociali che si occupano di famiglie in povertà in Israele avente l’obiettivo di valutare le pratiche di lavoro emotivo utilizzate e l’influenza delle politiche istituzionali sull’assetto emotivo delle stesse. I risultati hanno messo in luce l’ampia gamma di intense emozioni negative che gli assistenti sociali sperimentano a seguito della loro esposizione continua alle numerose e difficili condizioni di povertà: stress, frustrazione, angoscia, ansia, paura e impotenza, che si ripercuotono di conseguenza negativamente nella loro vita personale e familiare. Infine, dallo studio emerge che la pratica di lavoro emotivo più utilizzata dagli operatori è l’alienazione emotiva come mezzo di difesa per affrontare la dissonanza emotiva, cioè la discordanza tra emozione sentita ed espressa.

 

Gli articoli sono stati scelti su campioni di operatori di diverse tipologie di helping professions al fine di rappresentare al meglio la categoria di tutti i lavoratori impegnati nelle professioni d’aiuto. Le ricerche selezionate e descritte evidenziano che il lavoro emotivo può avere sia conseguenze negative che positive sul benessere individuale e che questo dipende in particolare dalla strategia utilizzata dall’individuo nella regolazione delle emozioni, in quanto la modalità di regolazione profonda ha generalmente un effetto positivo che contrasta con quello negativo della modalità superficiale.

Gli studi scientifici selezionati hanno tutti avuto l’obiettivo di comprendere l’esistenza di una possibile correlazione tra il lavoro emotivo e le tre manifestazioni del burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale), e soprattutto quale strategia di regolazione emotiva, superficiale o profonda, influisce in misura maggiore sul burnout. Alcune ricerche, inoltre,hanno esaminato la relazione tra il lavoro emotivo e il bisogno di appartenenza  e il grado di soddisfazione dell’operatore e la fiducia nei colleghi.

Da una lettura approfondita si evidenzia come tutte le helping professions inducono negli operatori impegnati in questo settore un grande carico di stress emotivo, in quanto è proprio il contesto professionale in cui operano che richiede la continua attivazione del processo di lavoro emotivo e quindi quelle strategie di regolazione superficiale o profonda.

Un dato che emerge in modo forte è l’esistenza di una correlazione positiva tra strategia di regolazione superficiale e Burnout, soprattutto tra modalità superficiale, esaurimento emotivo e depersonalizzazione.

Inoltre, la strategia di regolazione superficiale è correlata negativamente alla soddisfazione del cliente, in altre parole l’operatore che esprime emozioni non autentiche proprio per aderire alle regole convenzionali imposte dalla società o comunque dal proprio contesto professionale di appartenenza  risulterà non autentico agli occhi dell’utente, ottenendo, così, delle ripercussioni negative sulla qualità del servizio offerto. L’autenticità è un aspetto fondamentale nella costruzione di un rapporto di fiducia con l’utenza, in quanto quest’ultima si affiderà ad un servizio ritenuto valido e di qualità.

Gli articoli selezionati, quindi, dimostrano che la modalità di regolazione profonda produce un effetto positivo sul benessere della persona e, di conseguenza, riduce il rischio di burnout caratterizzandosi come fattore protettivo. Certamente si comprende come la strategia di regolazione superficiale si configuri come una modalità più accessibile agli operatori e che richiede meno costi dal punto di vista psicologico, rispetto alla recitazione profonda e, altresì, la prima consente più facilmente un adeguamento alle regole sociali proprie del contesto lavorativo di appartenenza.

Un’ ulteriore analisi delle ricerche selezionate evidenzia come l’esistenza di un clima di autenticità, di supporto sociale e organizzativo, di fiducia nei colleghi riducano lo stress emotivo, favorendo e facilitando l’utilizzo della strategia di regolazione emotiva profonda e, quindi, di conseguenza configurandosi come fattori protettivi rispetto all’insorgenza del burnout.

Comprendiamo come il burnout risulti essere un rischio sempre latente nella pratica professionale, per tale ragione, in ogni contesto professionale sono fondamentali dei piani formativi finalizzati a sviluppare migliori competenze di regolazione emotiva.

Lo sviluppo di abilità emotive intra e interpersonali danno la possibilità ad ognuno di noi di conoscere meglio sé stessi e di saper gestire al meglio le proprie emozioni in modo da rispondere adeguatamente alle situazioni fortemente stressanti. Una maggiore consapevolezza del proprio assetto emotivo servirebbe per ridurre il turnover e favorire una maggiore appartenenza alla propria professione e al proprio contesto di lavoro e un elevato livello di realizzazione e soddisfazione personale.

Sulla base di quanto analizzato possiamo concludere che un’elevata competenza emotiva, un’adeguata abilità di regolare le proprie emozioni, e soprattutto l’utilizzo di una strategia di regolazione profonda, il “Deep Acting”, rappresentano dei fattori protettivi rispetto al manifestarsi della Sindrome da Burnout. L’esposizione prolungata, infatti, a situazioni stressanti di forte impatto emotivo e una inadeguatezza a gestire il proprio processo di lavoro emotivo inducono la persona a vivere maggiormente situazioni di tensione, ansia e depressione che possono condurre al Burnout.

Concludendo, lavorare nella prevenzione risulta assolutamente fondamentale per offrire la possibilità agli operatori delle helping professions di imparare a gestire in modo funzionale le proprie emozioni, essere consapevoli di esse, al fine di divenire meno vulnerabili in relazione al carico emotivo vissuto, sperimentando ancor di più occasioni caratterizzate da “vigoria psicologica” e dimostrandosi più resilienti.

 

Note

[1] Pandey J. Singh M. “Donning the mask: effects of emotional labour strategies on burnout and job satisfaction in community healthcare”. Oxford University Press 2015- Health Policy and Planning, 2016, ol. 31, No. 5

[2] Edward K.L. Hercelinskyj G. Giandinoto J.A. “Emotional labour in mental health nursing: An integrative systematic review”. International Journal of Mental Health Nursing 2017

[3] Weaver A.D. Allen J.A. “Emotional Labor and the Work of School Psychologists”. Contemp School Psychol 2017

[4] Wang W. Ke Z. “Employees’ emotional labor and emotional exhaustion: trust and gender as moderators”. Social behavior and personality- Scientific Journal Publishers Limited 2018

[5] Lavee E. Strier R. “Social workers’ emotional labour with families in poverty: Neoliberal fatigue?” Child & Family Social Work- John Wiley & Sons LTD 2018

 

Bibliografia

Edward K.L. Hercelinskyj G. Giandinoto J.A. “Emotional labour in mental health nursing: An integrative systematic review”. International Journal of Mental Health Nursing 2017

Lavee E. Strier R. “Social workers’ emotional labour with families in poverty: Neoliberal fatigue?”. Child & Family Social Work- John Wiley & Sons LTD 2018

Pandey J. Singh M. “Donning the mask: effects of emotional labour strategies on burnout and job satisfaction in community healthcare”. Oxford University Press 2015- Health Policy and Planning, 2016, ol. 31, No. 5

Weaver A.D. Allen J.A. “Emotional Labor and the Work of School Psychologists”. Contemp School Psychol 2017

Wang W. Ke Z. “Employees’ emotional labor and emotional exhaustion: trust and gender as moderators”. Social behavior and personality- Scientific Journal Publishers Limited 2018

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