Nella città di Vittoria, situata nel territorio Ragusano, è presente il Consultorio Familiare di Ispirazione Cristiana “Don Enrico Arena”, riconosciuto come un ente di terzo settore che mira a promuovere il benessere della persona, della coppia e della famiglia, offrendo prevenzione e sostegno psicologico nei vari processi evolutivi e non solo. All’interno del Consultorio operano numerose figure professionali quali psicologi, psicoterapeuti e altri operatori in ambito medico-sanitario che mettono al servizio del territorio la loro professionalità da oltre un trentennio.
Una delle fasce che afferisce con maggiore presenza al Consultorio, da un paio di anni a questa parte, è quella adolescenziale. Ci siamo chiesti più volte cosa cercassero i giovani e cosa ci fosse dietro la loro domanda d’aiuto e leggendo l’articolo “Giovani senza futuro”, in cui ci si interroga su quanto i giovani fossero realmente artefici del proprio avvenire, ci è parso particolarmente interessante e pertinente l’intervento di Galimberti, secondo cui i giovani vengono “gettati” in un mondo sempre più complesso senza che gli sia stato insegnato prima come affrontarlo.
Oggi la famiglia e la società nel complesso non sembrano affatto occuparsi dei giovani e della loro crescita. Viviamo in un periodo in cui si richiede loro un’eccessiva indipendenza ma di fatto succede proprio il contrario. I genitori in alcuni casi tendono ad essere iperprotettivi nei confronti dei figli, sostituendosi a loro nei compiti che ritengono essere troppo difficili o, al contrario, eccessivamente assenti tanto da non dare loro il giusto sostegno. Appare che i genitori di oggi siano disorientati nell’aderire al loro ruolo e proiettino le loro difficoltà sui figli, ripetendo o facendosi promotori di una nuova forma di trauma. Tutto ciò sembra favorire lo sviluppo di svariate forme di disagio negli adolescenti, come le varie forme di dipendenza: dipendenza affettiva e relazionale, dipendenza da sostanze (droghe, tabacco, cannabis, alcol), dai social media. L’adolescente cerca infatti di portare a compimento il processo di separazione-individuazione ma si trova a dover fare i conti con l’incapacità di gestire le situazioni e le proprie emozioni poiché, nella maggior parte dei casi, gli è mancato il sostegno adeguato da parte delle figure di riferimento per poterle affrontare. Ci si trova così ad avere a che fare con adolescenti “ansiosi”, sopraffatti dalla paura: paura del mondo esterno, paura degli altri, paura di non farcela; ci si trova di fronte a ragazzi disorientati, incapaci di tollerare le frustrazioni e di gestire le correlate emozioni. Sono tantissimi i ragazzi di età compresa tra i 12 e i 17 anni che soffrono o hanno sofferto di un disturbo d’ansia e tra i vari fattori che hanno contribuito all’aumento dell’ansia vi sono le alte aspettative, proprie o dei genitori, e la conseguente pressione ad avere successo.
Per approfondire le tematiche prenderemo in esame quattro casi clinici (nel rispetto della privacy utilizzeremo solo l’iniziale del nome).
E., ragazzo di 15 anni, figlio di genitori separati e in seguito orfano di padre, inizia un percorso di sostegno psicologico perché “costretto” dalla madre. Dice di aver sviluppato una dipendenza da cannabis da quando il padre è morto e riferisce che anche quest’ultimo aveva la stessa dipendenza, oltre a quella da alcol. Inizialmente assume un atteggiamento di chiusura; in seguito, dopo aver instaurato una buona alleanza terapeutica, ammette di avere bisogno di aiuto perché non è felice di ciò che è e della persona che sta diventando. È spesso ansioso, incapace di tollerare e gestire rabbia e tristezza senza ricorrere alla sostanza, l’unica capace di calmarlo e dargli pace, seppur per un periodo limitato. Con la madre non riesce ad aprirsi, non si sente capito e più volte è stato rimproverato di somigliare al padre in svariati atteggiamenti. Lui stesso riferisce di aver quasi odiato il padre per i suoi comportamenti spesso violenti. Ha sempre avuto paura di poter essere come lui ma si era talmente convinto di somigliargli che alla fine ha assunto i suoi stessi atteggiamenti, fino ad aver sviluppato egli stesso una dipendenza da cannabis. Questo in parte lo faceva sentire vicino a quel padre che aveva sempre desiderato di avere accanto, dal quale avrebbe voluto essere guidato. A conclusione del percorso ammette di non essere mai riuscito ad affrontare il dolore per quella figura paterna che in fondo non aveva mai avuto e di non essere mai stato capito dalla madre che non gli aveva dato il supporto necessario per superare quell’assenza e per sviluppare una propria individualità. Quanto le dipendenze del padre e/o la sua morte e quanto una madre svalutante hanno inciso nello sviluppo della dipendenza di E.?
F., 17 anni, decide di chiedere un supporto psicologico perché da un anno soffre di attacchi d’ansia. L’adolescente si presenta apatica e senza voglia di fare esperienze nuove. Dice di trascorrere al cellulare anche 12 ore al giorno perché altrimenti “non sa cosa fare”; afferma inoltre che stare con lo smartphone e guardare video su TikTok le allevia il senso di ansia che prova perché il “mondo fuori è troppo difficile”. Quando le chiedo di parlare del rapporto con i suoi genitori lei dice di non sapere che argomenti trattare con loro, di non sentirli vicini e di non riuscire a raccontargli del malessere che prova. La domanda che sorge in questo caso è: cosa succederebbe se F. sentisse di poter parlare con i suoi genitori? Cambierebbe la visione del mondo come “troppo difficile” se accanto a lei avvertisse il supporto di mamma e papà?
M., ragazzo di 13 anni, si presenta al Consultorio raccontando di avere delle difficoltà a relazionarsi con i coetanei. Durante i primi colloqui emerge un ambiente socio-culturale molto povero, i genitori sono separati, alla madre è stato diagnosticato un disturbo di personalità. Tale situazione ha fatto sì che ci fosse uno sradicamento dalla famiglia d’origine e che M. venisse cresciuto dai nonni paterni. Durante i colloqui con il ragazzo appare chiaro che tende ad isolarsi preferendo la lettura di classici alle interazioni con i coetanei. Presenta un carattere fortemente introverso e rigido che lo porta a scontrarsi con la realtà di tutti i giorni. Il ragazzo manifesta insofferenza per l’assenza del padre e dalla madre, non si sente contenuto; è inoltre carente nel riconoscere e fronteggiare le emozioni soprattutto quelle di stampo negativo. In questo caso ci siamo chiesti quanto la povertà socio-culturale e familiare possa influire sulla crescita funzionale o disfunzionale del ragazzo.
Altre problematiche portate in analisi dagli adolescenti sono quelle legate ai disturbi alimentari; nello specifico, da un’analisi dei casi pervenuti in Consultorio, emerge un aumento di anoressia e binge eating.
A. è una ragazzina di 18 anni che porta come difficoltà principale, al primo colloquio, un disagio relativo il peso corporeo. Durante gli incontri A. racconta episodi di binge eating e una situazione familiare difficile con genitori separati e con un padre manipolatore e psicologicamente violento. Durante un colloquio la stessa diciottenne afferma: “Dottoressa, io da bambina dovevo chiedere a mio padre i soldi dell’affitto perché mia madre non voleva parlare con lui”; oppure “io ho sempre lavorato, anche quando ero minorenne, per provvedere alla mia sussistenza”; o ancora “mia madre non può fare la nonna perché dice che è sempre molto occupata; quindi sono io che aiuto mia sorella in gravidanza con il trasloco e con suo figlio piccolo”. In questa vignetta clinica appare chiaro come l’assunzione di un ruolo non appropriato in ambito famigliare, con una figlia che funge da genitore, come in questo caso, crea dei disagi nella sfera emotiva.
A. è un’altra ragazzina di 14 anni con problemi di anoressia. Durante il percorso emergono soprattutto sensi di colpa e assoggettamento al giudizio altrui. Negli ultimi colloqui afferma: “Ho sempre pensato che il problema fossi io che non andavo bene per la società e che dovevo adeguarmi secondo come mi volevano gli altri. Molti parenti mi dicevano spesso: – mangi questo cibo? Attenta a non ingrassare!- Ed erano sempre pronti a giudicarmi. Grazie al percorso fatto con lei ho capito che non sono io ad essere sbagliata e che devo accettarmi così come sono, dando meno importanza al giudizio degli altri perché, qualunque cosa io faccia, essi mi giudicheranno sempre e comunque”. Da questo caso clinico è emerso che la presenza di adulti svalutanti e giudicanti ha influito negativamente sulla possibilità della ragazza di potersi individualizzare. La funzione dei genitori e degli adulti, in generale, è fondamentale. Essi hanno il delicato ed importante compito di incoraggiare i giovani nello sviluppo dell’autonomia e di una propria individualità, cercando di evitare di proiettare sui figli i propri disagi e favorendo il loro processo di soggettivazione. Come dice Kurt Lewin “il compito genitoriale consiste nel costruire lo spazio di libero movimento intorno al ragazzo o alla ragazza in modo tale che possa crescere e diventare a sua volta adulta o adulto capace di reciprocare questa azione nel mondo. Quindi è compito dei genitori prendersi cura e preoccuparsi di fare qualcosa di utile proteggendo con attenzione e cura”.
Concludendo, volendo ipotizzare una risposta alla domanda iniziale su cosa cercano i giovani, potremmo asserire, sulla base dei casi sopraggiunti alla nostra attenzione clinica, che i giovani necessitano di un luogo di contenimento, di riconoscimento, un luogo di elaborazione, un posto in cui poter dare una risposta alla domanda “io chi sono?”. Tuttavia, il riconoscimento del disagio da parte degli adolescenti e la loro voglia di lavorarci per crescere è un dato che fa ben sperare per il futuro, affinché gli adolescenti di oggi possano essere gli adulti “consapevoli” di domani.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
https://savoiabenincasa.edu.it/magazine/2022/05/giovani-senza-futuro-la-parola-al-filosofogalimberti/