La violenza relazionale è un fenomeno complesso che esige un’analisi capace di tener conto di numerose variabili che intervengono tanto nella vita quotidiana di chi la sperimenta, quanto nei contesti di cura (Gianturco & Brancato, 2022). In questo senso, il ruolo della psicologia clinica appare cruciale per intercettare, comprendere e intervenire efficacemente sulla complessità di tali dinamiche.
Il presente articolo intende approfondire, attraverso l’esposizione di un caso clinico, come lo psicoterapeuta, attraverso una lettura psicodinamica delle dinamiche psichiche, può affrontare i fenomeni di violenza relazionale, esplorando strumenti e prassi di rete utili al lavoro clinico (Pugliese, Saliani & Mancini, 2024). Il presente lavoro rappresenta il frutto di una riflessione clinica che si sviluppa a partire da un’esperienza di psicoterapia con una donna che all’epoca dei fatti aveva 58 anni e che illustra vividamente la complessità di tali dinamiche, evidenziando le sfide dell’intervento psicoterapeutico.
Rosalba giunge all’attenzione di un ambulatorio di psichiatria presso un ospedale di Palermo nel 2019 con una sintomatologia complessa: ansia, somatizzazioni (paresi del tratto orale, alterazione del gusto, ipoalimentazione) e una diagnosi di “Depressione reattiva grave” (American Psychiatric Association, 2023). La sua richiesta di aiuto è innescata dalla separazione da un uomo con il quale ha intrattenuto per anni una relazione extraconiugale. La psichiatra che la prende in cura le prescrive una terapia farmacologica e la invita ad iniziare un percorso di psicoterapia con cadenza settimanale. Dai primi incontri di valutazione diagnostica emerge un quadro sintomatologico depressivo sullo sfondo di un quadro di personalità isterica (McWilliams, 2012): ansia, teatralità, elevata reattività emotiva, labilità affettiva e una modalità impressionistica di narrazione caratterizzano le sedute con Rosalba, la quale tende a relazionarsi attraverso una modalità infantile, descrivendosi come una persona fragile e indifesa, a fronte di un Altro, vissuto come potente, arrabbiato e abbandonico.
L’anamnesi di Rosalba rivela traumi infantili legati alla relazione con i genitori: dai racconti della paziente emergerebbe la figura di un padre autoritario, il quale chiedeva alla moglie prestazioni sessuali con altri uomini a scopo di lucro, mentre la madre veniva descritta come una donna dipendente e sottomessa ai voleri e ai piaceri del marito (Bowlby, 1978). In tale contesto, Rosalba e il fratello apparivano quali vittime impotenti di una violenza assistita ai danni della figura materna. Tali narrazioni sembrano delineare un trauma relazionale precoce (Caretti, Craparo & Schimmenti, 2013). Ferenczi (1932) per primo ha analizzato l’impatto del trauma relazionale, con particolare riferimento al trauma legato agli abusi e alle negligenze genitoriali, descrivendo il modo in cui il bambino, pur di mantenere il legame con un adulto abusante o trascurante, interiorizzi un’esperienza distorta e confusa della realtà e delle proprie emozioni, con evidenti conseguenze negative nella strutturazione dell’assetto di personalità. In particolare, l’autore espone la sua teoria a partire dal concetto di “identificazione con l’aggressore”, intendendo con questo termine il processo attraverso il quale il bambino prova una paura terrificante, capace di togliergli la capacità di pensare e che lo costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà dell’aggressore e a identificarsi completamente con lui.
Tale aspetto sembra riflettersi nella storia evolutiva e relazionale della paziente la quale, sebbene non abbia sperimentato direttamente gli abusi sessuali, è stata ugualmente vittima di tali dinamiche per aver assistito a questi abusi nella relazione tra i genitori. Inoltre, nel corso della sua storia, tali dinamiche si sono ripetutamente proposte nelle sue relazioni sentimentali, manifestando una coazione a ripetere (Freud, 1977), caratteristica di un trauma non adeguatamente riconosciuto ed elaborato o, detto in altri termini, di un “conosciuto non pensato” (Bollas, 1987). Nel corso del trattamento, Rosalba inizia una relazione sentimentale con Andrea il quale, sebbene all’inizio appaia come un uomo accudente e affidabile, ben presto si rivela nella sua natura abusante, iniziando con lei una relazione capace di riproporre le dinamiche sado-masochistiche che caratterizzavano la relazione tra i suoi genitori. La donna descrive una relazione sentimentale caratterizzata da dinamiche di potere e sottomissione che, all’interno della seduta, si alternano rapidamente: Rosalba appare, in maniera scissa e alternata, quale vittima indifesa di un uomo abusante, capace di pensare unicamente al proprio soddisfacimento, apparendo subito dopo quale detentrice di potere dentro la relazione in virtù della cura domestica e dell’accudimento psico-fisico di un uomo malato e dunque, impotente e dipendente da lei. Kernberg (1980), definisce le rappresentazioni scisse e alternate di sé e dell’altro come il nucleo fondante l’organizzazione borderline di personalità, caratterizzata dall’impossibilità di integrare visioni di sé e degli altri positive e negative a causa di una impossibilità di coniugare affetti di valenza opposta sullo stesso oggetto. Tali pazienti, proprio a causa della loro disorganizzazione interna, appaiono confusi e contradditori, ma anche capaci di destare preoccupazione e reazioni nel clinico, di rabbia e irritazione nell’analista poiché spesso, dietro richieste incessanti di aiuto, si celano ostilità e resistenza al cambiamento. Tale resistenza può essere letta come l’impossibilità di separarsi da un oggetto che, seppur frustrante e fonte di sofferenza, appare preferibile ai vissuti di solitudine e disperazione conseguenti all’abbandono. Nel corso del trattamento, Rosalba appare spesso bisognosa e richiedente aiuto, mostrando la sua presenza ingombrante, attraverso chiamate insistenti e l’arrivo in ambulatorio molto prima dell’inizio della seduta; nel colloquio sembra usare la terapeuta quale “contenitore” per il suo dolore, rimanendo tuttavia incastrata dentro una relazione che, nonostante le sofferenze, nella sua mente risulta preferibile alla separazione definitiva. In questi casi, può accadere che il terapeuta senta il paziente come schermato da una muraglia difensiva impossibile da penetrare per cui, nonostante l’iniziale compiacimento, lo stesso non riesce a trarre beneficio dalla cura.
In considerazione della complessità della situazione clinica appena delineata, appare chiara la difficoltà di gestione clinica delle situazioni di violenza relazionale, che richiedono una presa in carico complessa e integrata, capace di abbracciare la persona e la sua richiesta di aiuto a molteplici livelli, richiedendo perciò la costruzione di prassi di rete e percorsi di cura mirati. In particolare, dal caso clinico di Rosalba appare evidente come sia fondamentale una valutazione diagnostica approfondita, che consenta di andare oltre la sintomatologia manifesta per indagare la struttura di personalità e i traumi sottostanti, come evidenziato dalla diagnosi di Depressione reattiva grave che si intreccia con una struttura di personalità complessa. Inoltre, una valutazione diagnostica ben condotta consente anche, quando necessario, di identificare il supporto farmacologico adeguato necessario ad una stabilizzazione del tono dell’umore. In tal senso, le prassi di rete sono essenziali per un intervento efficace, evidenziando la necessità di una stretta collaborazione tra psichiatri e psicoterapeuti, per offrire un sostegno clinico efficace a supporto della cura. Infine, appare rilevante sottolineare che, spesso, una delle maggiori difficoltà per lo psicoterapeuta è legata al fronteggiamento dei vissuti portati dal paziente che possono causare lo scivolamento in posizioni e schieramenti, che riflettono il funzionamento psichico delle situazioni di violenza relazionale e che possono far perdere la distanza necessaria alla cura. In tal senso, risulta fondamentale che il terapeuta abbia svolto un lavoro su di sé attraverso una terapia personale, che gli abbia consentito di elaborare e risolvere tali dinamiche nella propria storia individuale.
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2023). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (5a ed.) (DSM-5-TR). American Psychiatric Association Publishing. Bollas, C. (1987). L’ombra dell’oggetto: Psicoanalisi del conosciuto non pensato. Roma: Astrolabio Ubaldini. Bowlby, J. (1978). Attaccamento e perdita (Vol.2). Separazione: Tristezza e rabbia. Torino: Bollati Boringhieri. Caretti, V., Craparo, G. & Schimmenti, A. (2013). Memorie traumatiche e mentalizzazione: Teoria, ricerca e clinica. Roma: Astrolabio Ubaldini. Ferenczi, S. (1932). Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino, In Opere (1992), (vol. IV), pp. 91-100. Milano: Raffaello Cortina. Freud, S. (1977). Al di là del principio di piacere. In Opere di Sigmund Freud, Vol. 7: L’Io e l’Es e altri scritti (1917-1923). Torino: Bollati Boringhieri. Gianturco, G., & Brancato, G. (a cura di) (2022). Oltre gli stereotipi sulla violenza di genere: Approcci, teorie e ricerche. Roma: Sapienza Università Editrice. Kernberg, O. F. (1980). Teoria delle relazioni oggettuali e clinica psicoanalitica. Torino: Bollati Boringhieri. McWilliams, N. (2012). La diagnosi psicoanalitica. Roma: Astrolabio. Pugliese, E, Saliani, A.M, & Mancini, F. (2024). Nella mente dei dipendenti affettivi: Assessment e trattamento. Milano: FrancoAngeli.