Negli ultimi anni i fenomeni di violenza relazionale hanno registrato dati allarmanti in Italia. Nel 2024 sono stati 300 gli omicidi totali, di cui 109 vittime donne [1]. Nel primo semestre 2024 si è inoltre registrato un aumento del 15% di maltrattamenti in famiglia, del 6% di stalking e dell’8% di violenze sessuali rispetto all’anno precedente [2]. Non si tratta di semplici numeri, ma di un’emergenza sociale e clinica che impone allo psicologo la capacità di intercettare, comprendere e intervenire sul fenomeno.
Quando si parla di violenza relazionale, occorre superare l’idea che si tratti solo di atti fisici espliciti: essa si configura come una dinamica che si struttura in relazioni segnate da disuguaglianza e include tutte le modalità in cui il legame viene distorto, manipolato o abusato al punto da generare sofferenza, paura, sottomissione o perdita di sé.
Nella prospettiva della Gestalt Therapy (GT), il bisogno primario dell’essere umano è quello di relazionarsi in modo pieno e autentico con l’altro da sé: abbiamo bisogno di contatti sani per crescere e dare significato alla nostra esperienza vissuta. Perciò, il focus di interesse della GT è l’unico luogo in cui l’esperienza può accadere e dispiegarsi: il confine di contatto tra Organismo e Ambiente. In questo contesto, la violenza è una figura che rompe l’armonia organismica del contatto, generando una frattura nel campo relazionale in cui l’Organismo viene invaso o ignorato da un ambiente eccessivamente intrusivo o assente. La relazione viene usata per esercitare potere distruttivo o controllo sull’altro, anziché per creare uno spazio di scambio e reciprocità. Chi agisce violenza invade o annienta il confine dell’altro, mentre chi la subisce può perdere il senso della propria autonomia, fino a interiorizzare colpa o svalutazione.
Nel lavoro clinico, lo psicologo gestaltista accoglie il racconto senza forzare la narrazione, stando attento ai segnali corporei, al tono emotivo, alle interruzioni nel ritmo della relazione. Il sé del terapeuta è coinvolto fenomenologicamente: ciò che emerge nella relazione è materiale clinico prezioso e le risonanze corporee e affettive del terapeuta diventano strumenti di ascolto e comprensione. Con pazienti vittime di violenza si lavora per rinforzare il confine, sostenendo la capacità di dire “no”, di riconoscere i propri bisogni e di reintrodurre un’aggressività sana, intesa come forza di differenziazione, protezione e cambiamento.
In particolare, il corpo conserva traccia della storia della persona ed è il primo luogo in cui la violenza si deposita. Le esperienze di violenza relazionale, in cui l’Organismo non è stato rispettato nei suoi confini né visto nei suoi bisogni, si traducono in parti del corpo contratte o desensibilizzate, che daranno origine a uno schema corporeo implicito alterato: il corpo diventa luogo in cui si sperimenta il dolore dell’invasione o dell’abbandono. Cercare di allontanarsene o anestetizzarlo può essere una soluzione apparentemente efficace per fronteggiare la situazione ambientale sfavorevole, ma, se utilizzata sul lungo periodo, diventa una prigione.
Nella prospettiva gestaltica, il compito del terapeuta non è quello di “curare” l’altro, ma di ristabilire le condizioni per un contatto autentico in cui il paziente possa ritrovare la propria voce, la propria corporeità e soprattutto la propria “agency” (ciò che Merleau-Ponty definiva “io posso”). L’altro — che si presenti come vittima, autore o entrambe le cose — entra in terapia portando nel corpo e nella memoria una grammatica relazionale distorta, dove il contatto è stato fonte di minaccia, invasione, esclusione o manipolazione. La relazione terapeutica diventa terreno di riscrittura, ma perché ciò accada il terapeuta deve offrire una modalità di incontro diversa.
Nel lavoro clinico non si tratta semplicemente di applicare tecniche o protocolli: ciò che cura è prima di tutto la qualità della presenza, che deve essere regolativa e dialogica. Il terapeuta integra due dimensioni fondamentali: il contatto empatico e il confine chiaro. Empatia e limite, ascolto e differenziazione, cura e responsabilità: solo in questa doppia tensione è possibile offrire all’altro un’esperienza relazionale diversa da quelle traumatiche precedenti.
Il paziente impara, spesso per la prima volta, che può essere visto senza essere invaso, ascoltato senza essere manipolato, contenuto senza essere limitato.
Curare la violenza relazionale significa costruire uno spazio sicuro dove il contatto può essere ristabilito. È un lavoro fondato sulla fiducia nei processi vitali. Il terapeuta si offre come testimone credibile e la relazione diventa luogo di riparazione: dove la parola può tornare, il corpo può rilassarsi, la persona può riscoprire la propria voce.
Lavorare con la violenza relazionale nella prospettiva gestaltica significa fare spazio al possibile: non si tratta di eliminare la sofferenza, ma di renderla narrabile; non si tratta di correggere il passato, ma di abitare un presente diverso, in cui il contatto non sia più pericoloso, ma generativo.
Affinché questo sia possibile, è fondamentale il lavoro in rete: nessuno psicologo può affrontare da solo un campo violento. La collaborazione con centri antiviolenza, assistenti sociali, forze dell’ordine, servizi educativi e sanitari è parte integrante del processo di cura. Ma non basta intervenire solo in fase emergenziale: è necessario promuovere percorsi di prevenzione fondati sull’educazione emotiva, sulla consapevolezza corporea e sul riconoscimento precoce delle dinamiche relazionali disfunzionali. La psicoterapia, in questo senso, diventa anche azione politica: una pratica che restituisce dignità, confine e responsabilità all’esperienza umana.
Note: ¹ Ministero dell’Interno – Servizio Analisi Criminale, Dati sugli omicidi volontari in Italia nel 2024, pubblicati da Vanity Fair Italia, 6 marzo 2025. ² Direzione Centrale della Polizia Criminale, Report semestrale sulla violenza di genere, dati diffusi da ANSA e LaPresse, dicembre 2024.
Note [1] Ministero dell’Interno – Servizio Analisi Criminale, Dati sugli omicidi volontari in Italia nel 2024, pubblicati da Vanity Fair Italia, 6 marzo 2025. [2] Direzione Centrale della Polizia Criminale, Report semestrale sulla violenza di genere, dati diffusi da ANSA e LaPresse, dicembre 2024.
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