Death competence nelle professioni del morire
Riflessioni | Novembre 2025
Autore: Rosaria Ferrara

Questa breve riflessione teorica introduce la definizione di una competenza necessaria per la costruzione delle professionalità che ruotano intorno alla morte e il morire, ma anche una competenza per cogliere il senso della vita stessa: la Death Competence.

Verso la definizione della Death Competence
Nel contesto delle professioni connesse alla morte ed al morire (operatori cimiteriali, impresari funebri, medici legali, professionisti sanitari operanti nelle cure palliative), la Death Competence è auspicabile come gamma di abilità e capacità umane nel trattare efficacemente con il fine vita, così come le convinzioni e gli atteggiamenti riguardo a queste capacità. Nella letteratura sul tema, la nozione di competenza sulla morte è stata operazionalizzata psicometricamente.
Partendo da tali presupposti, è possibile provare a definire le caratteristiche e gli indicatori del costrutto della Death Competence come segue: essendo la morte, secondo Kelly (1955), l’esempio prototipo di un evento minaccioso dei core constructs ˗ costrutti fondamentali ˗ i soggetti ˈcompetentiˈ non dovrebbero percepire la minaccia in quanto consapevoli della propria identità, del significato della propria vita. Robbins (1990-92) indica che i comportamenti di preparazione alla morte, quali per esempio scrivere testamento, predisporre il proprio patrimonio, pianificare il proprio funerale e il parlare senza ansia del fine vita (Hayslip, 1986-87) indichino una minaccia significativamente minore del fine vita. Sanders (1984) afferma che i professionisti che lavorano con la morte e i dolenti sanno gestire quotidianamente non solo l’impotenza sulla fine dell’esistenza, ma anche la loro stessa vulnerabilità umana nel lenire la morte di una persona. Il soggetto con Death Competence, sviluppa la consapevolezza personale (cioè, conosce sé stesso abbastanza bene da capire quando e come le questioni personali influenzino le proprie risposte), identifica cosa lo ha portato nel lavoro di fine vita, quali esperienze ha avuto con i lutti e cosa motiva il suo continuo interesse per il dolore (Katz, 2006 a-b). In questa condizione, seguendo la visione di Erikson (1963) sarebbe presente l’ˈintegritàˈ come uno stato mentale, la convinzione che la vita sia stata utile e significativa e la riconciliazione della discrepanza tra la realtà e l’ideale. Gli individui che sono in grado di raggiungere l’integrità possono affrontare la morte senza paura, mostrando meno ansia riguardo la morte e più accettazione (Lewis e Butler, 1974). Quindi, secondo Wong, Reker & Gesser (1994) ci si aspetta una ˈaccettazione neutraˈ, per cui la morte non si teme ed è parte integrante di una vita vissuta il più possibile serena. Worden e Proctor (1976) affermano che essere ˈdesensibilizzatiˈ e consapevoli riduce la negazione, l’evitamento della morte e incrementa la tolleranza delle emozioni intense innescate dalle prospettive di morte e perdita. ˈDesensibilizzarsiˈ non significa mancare di empatia, infatti, Bertman (1991) ha ribadito l’importanza di saper riflettere sulle proprie perdite e capire come sono state affrontate per entrare veramente in empatia con il dolore altrui. Roos (2002) ha usato il termine potency per riferirsi ai consulenti che sanno cosa stanno facendo e lo fanno con sicurezza, ispirando speranza. Questo comprende: avere la capacità di mantenere l’attenzione, la coerenza per quanto riguarda il lavoro finalizzato agli obiettivi, lo spirito di fiducia razionale, l’accuratezza empatica, il riconoscimento rispettoso del dolore dei dolenti, la competenza in interventi tempestivi e parsimoniosi. Per essere efficaci, i consulenti del dolore devono ˈsintonizzarsiˈ con l’esperienza soggettiva di perdita dell’individuo apprendendo empaticamente la realtà emotiva e fenomenologica della persona in lutto e trasmettendo un’accurata comprensione della sofferenza e dell’angoscia coinvolte. L’accuratezza percettiva ed empatica descritta da Roos (2002) dipende dall’ascolto. Quando sorgono reazioni controtransferali, i consulenti del dolore competenti riconoscono le fonti dei loro sentimenti, abbracciano quella conoscenza per migliorare la comprensione dell’angoscia del dolente e cercano un confronto quando necessario. La capacità di gestire la propria ansia di morte è un aspetto della gestione del controtransfert. Pope e Vasquez (2007) sottolineano inoltre la necessità di una competenza intellettuale ˗ conoscere la materia che regola la propria pratica professionale ˗ e di una competenza emotiva ˗ conoscere sé stessi e accettare i propri limiti come un essere umano fallibile, monitorare le proprie emozioni ˗ usando entrambe per comprendere affettivamente la posizione del dolente. Per gli autori, il mantenimento della competenza emotiva richiede l’applicazione costante di strategie di self-care per evitare di diventare cronicamente angosciati, svuotati o demoralizzati (Gamino & Ritter, 2012). I professionisti del fine vita devono conoscere dati, metodologia e teoria relativi alla morte, dedicandosi alla formazione continua e alla crescita professionale in modo che le proprie conoscenze e competenze rimangano aggiornate. Inoltre, è anche utile avere consapevolezza dei limiti della propria competenza professionale (“Code of Ethics”, 2010). Sono necessarie, inoltre, abilità nel comunicare la morte e nel fornire le informazioni pratiche sui servizi funebri, la formazione nella cura fisica del morente e del morto. Inoltre i professionisti presentano self-efficacy, la credenza nella propria capacità di eseguire un particolare comportamento. Con la pratica professionale viene incrementata l’abilità nello svolgimento dei compiti e si riduce l’ansia. I professionisti che a vario titolo sperimentano la morte di più persone e sono stati coinvolti in più comportamenti di fine vita, risultano efficaci nel coping di gestione della morte. Anche avere il coraggio di contemplare la propria morte abbastanza a lungo da pianificare di donare gli organi e firmare un modulo, in questo senso, può essere vista come un aspetto della Death Competence (Robbins, 1994).

La death education
Si delinea altresì l’importanza della realizzazione di programmi di educazione alla morte. ˈCosa significa la morteˈ è l’oggetto fondamentale che viene trasmesso attraverso gli interventi di Death Education (DeEd). Secodo Herman Feifel e i suoi allievi Stephen Strack, Robert Neimeyer e Robert Kastenbaum, l’educazione alla morte prevede un campo di intervento che interessa i tre livelli di prevenzione. La prevenzione primaria si focalizza sulla ricerca di senso sulla comprensione della morte, sugli atteggiamenti e sui modi di affrontare il tema della finitudine a partire dalla prima infanzia fino alla senilità perché ogni età ha il proprio modo di ragionare sull’argomento. La prevenzione secondaria riguarda il prendere consapevolezza di come si vuole morire e di come si accompagna chi muore. La prevenzione terziaria è quella che rende possibile una trasformazione sana del cordoglio in lutto affinché questo si concluda e non cada in dinamiche patologiche che destinano i dolenti alla deriva della disperazione (Testoni, 2015).

BIBLIOGRAFIA

Bertman, S. L. (1991). Facing death: Images, insights, and interventions. Bristol, PA: Taylor & Francis.
Erikson, E. (1963). Childhood and society (2nd cd. ). New York: Norton.
Gamino, L. A., & Ritter Jr, R. H. (2012). Death competence: An ethical imperative. Death Studies, 36(1), 23-40.
Hayslip, B. (1986-87). The measurement of communication apprehension regarding the terminally ill. Omega: Journal of Death and Dying, 17, 251-261.
Katz, R. S. (2006b). When our personal selves influence our professional work: An introduction to emotions and countertransference in end-of-life care. In R. S. Katz & T. A. Johnson (Eds.), When professionals weep: Emotional and countertransference responses in end-of-life care (pp. 3–9). New York, NY: Routledge.
Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs. New York: Norton.
Lewis, M. I., & Butler, R. N. (1974). Life-review therapy: Putting memories to work in individual and group psychotherapy. Geriatrics, 29(11), 165-173.
Pope, K. S., & Vasquez, M. J. T. (2007). Ethics in psychotherapy and counseling: A practical guide (3rd ed.). San Francisco, CA: Jossey-Bass.
Reker, G. T., & Wong, P. T. P. (1984). Psychological and physical well-being in the elderly: The Perceived Well-Being Scale. Canadian Journal on Aging, 3, 23-32.
Robbins, R. A. (1990). Signing an organ donor card: Psychological factors. Death Studies, 14, 219-229.
Robbins, R. A. (1990-91). Bugen’s Coping with Death Scale: Reliability and further validation. Omega: Journal of Death and Dying, 22, 287-299.
Robbins. R. A., McLaughlin, N. R., & Nathan, H. M. (1991). Using self-efficacy theory to predict organ donor card signing. Journal of Transplant coordination, 1 (111).
Robbins. R. A. (1992). Death competency: A study of hospice volunteers. Death Studies, 16, 557-567.
Robbins, R. A. (1994). Death competency: Bugen’s coping with death scale and death self-efficacy. In R. A. Neimeyer, (2015), Death anxiety handbook: Research, instrumentation, and application (pp. 149-165) . Washington, DC: Taylor & Francis.
Roos, S. (2002). Chronic sorrow: A living loss. New York, NY: Brunner-Routledge.
Sanders, C. M. (1984). Therapists, too, need to grieve. Death Education, 8(Suppl), 27–35.
Testoni, I. (2015). L’ultima nascita: Psicologia del morire E «Death Education». Bollati Boringhieri.
Worden, J. W., & Proctor, W. (1976). PDA: Personal death awareness. New York, NY: Prentice-Hall.

SITOGRAFIA
Association for Death Education and Counseling. (2010). Code of ethics. Disponibile da https://www.adec.org/page/Code_of_Ethics

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