La distinzione tra psyché e zoé rappresenta le fil rouge per comprendere il dramma contemporaneo dei suicidi giovanili. La psyché indica la vita biologica, la mera sopravvivenza, protetta dalla paura e dall’abitudine; la zoé è la vita piena, viva, aperta al rischio, al desiderio, all’ignoto. La tensione tra queste due dimensioni diventa centrale nell’adolescenza, periodo in cui l’apertura alla libertà coincide con fragilità emotiva e vulnerabilità sociale.
Questa tensione si manifesta già nel racconto biblico dell’Esodo. Liberato dalla schiavitù egiziana, il popolo si trova nel deserto: la libertà è offerta, ma l’ignoto genera paura. «Meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto!» (Es 14:12). La psyché preferisce la sicurezza della catena alla zoé, la vita piena ma incerta. Freud (1920, Al di là del principio del piacere) definisce la pulsione di morte, Thanatos, come forza autodistruttiva, ripetitiva, che spinge l’individuo verso esperienze dolorose o la negazione del desiderio autentico. Nel deserto, il popolo manifesta collettivamente ciò che Freud osserva a livello individuale: la paura della libertà può diventare rinuncia e autodistruzione.
Erich Fromm, nel celebre Fuga dalla libertà (1941), mostra come la libertà possa generare insicurezza e ansia, inducendo l’uomo moderno a cercare rifugio in autoritarismo, conformismo o distruttività . «La libertà ha isolato l’uomo moderno, lo ha reso insicuro e ansioso. Questa insicurezza ha reso molti pronti a rinunciare alla libertà , rifugiandosi in nuove forme di dipendenza». Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo, 1951) aggiunge: «Il bisogno di appartenenza è così grande che gli uomini possono sacrificare la libertà pur di sentirsi parte di un tutto».
Wilhelm Reich (Psicologia di massa del fascismo, 1933) mostra come pulsioni represse e autodistruttive possano essere incanalate socialmente, generando obbedienza, rinuncia al desiderio e sottomissione a figure autoritarie. Recalcati (Il mistero delle cose, 2016) evidenzia il trauma della libertà : «La libertà non è mai pacifica: è il trauma dell’apertura dell’esistenza, il trauma di un destino che non è già scritto». Lacan, a sua volta, vede nel Thanatos la ripetizione del trauma e la tendenza a reiterare esperienze dolorose, collegando pulsione di morte e desiderio inconscio.
Se queste dinamiche erano già presenti nel deserto biblico e nelle società totalitarie, oggi trovano espressione drammatica nella vulnerabilità adolescenziale e nei suicidi giovanili. La libertà di scegliere, il confronto con l’ignoto e la responsabilità emotiva possono generare angoscia intensa, isolamento e senso di disperazione. La pulsione di morte si manifesta come rinuncia alla zoé, come tentativo di controllare il dolore attraverso la cancellazione della vita stessa. Relazioni abusanti, dipendenze comportamentali o sostanze diventano analoghi moderni delle catene del deserto: strumenti che proteggono dall’angoscia ma non permettono di vivere pienamente.
La vulnerabilità adolescenziale non deriva solo dall’intensità delle emozioni o dalla precarietà dei legami, ma anche dall’assenza di mediazioni sociali e relazionali. La presenza di adulti significativi, familiari, insegnanti, amici o figure professionali che sostengono, ascoltano e orientano il giovane permette di modulare l’angoscia esistenziale e di affrontare il trauma della libertà senza cedere alla pulsione autodistruttiva. Quando questi punti di riferimento mancano, il peso della responsabilità di vivere diventa insostenibile: la libertà , invece di aprire alla zoé, viene percepita come minaccia. La pulsione di morte (Thanatos) non trova sbocco né contenimento relazionale, e il rischio che si manifesti attraverso gesti autodistruttivi o suicidio aumenta drammaticamente.
Integrare la riflessione psicoanalitica, filosofica e antropologica permette di comprendere i suicidi giovanili non come semplice atto individuale, ma come fenomeno in cui Thanatos, paura della libertà e vulnerabilità umana si intrecciano in modi profondamente complessi. La sfida clinica e sociale è trasformare la paura in possibilità , accompagnare i giovani a passare dalla psyché alla zoé, insegnando che affrontare l’ignoto, pur con dolore e rischio, è la condizione per vivere una vita piena e autentica.