Thanatos, lutto e possessione: un viaggio psicologico nel cuore del demoniaco
riflessioni | Novembre 2025
Autore: Alessio Leotta

Il tema della possessione diabolica, al confine tra religione, psicologia e cultura, continua a esercitare un fascino particolare. Al di là della suggestione folklorica, questo fenomeno può essere interpretato, in chiave teorica, come una rappresentazione drammatica di conflitti profondi che abitano la psiche umana.

Nel febbraio del 2024, la cronaca italiana è stata scossa da un tragico episodio avvenuto ad Altavilla Milicia, in Sicilia: un padre di famiglia, convinto che i suoi cari fossero posseduti dal demonio, ha ucciso la moglie e due dei suoi figli, definendo il gesto come un atto di “liberazione”. Un evento che ha sconvolto l’opinione pubblica e che invita a una riflessione più ampia: come può la mente umana arrivare a trasformare dolore, paura e disperazione in un gesto di tale distruttività? E, soprattutto, che relazione simbolica può esserci tra episodi di questo tipo e i concetti psicologici di Thanatos e di lutto?

L’immaginario del male che prende possesso del corpo e della mente può essere considerato, in prospettiva interpretativa, come un linguaggio simbolico attraverso cui la sofferenza cerca espressione. Le immagini del demoniaco hanno rappresentato, nei secoli, un modo collettivo di narrare ciò che non si riusciva a spiegare razionalmente: il dolore, la follia, la morte.

Sigmund Freud, nel 1920, introduce il concetto di Thanatos, la pulsione di morte che si oppone a Eros, forza vitale e creatrice. Secondo una possibile lettura psicoanalitica, Thanatos non si manifesta solo come desiderio inconscio di annientamento, ma anche come tendenza alla ripetizione del trauma e alla distruzione dei legami affettivi. Da questo punto di vista, la possessione diabolica può essere letta come una messa in scena simbolica di Thanatos: l’individuo, travolto da angosce profonde, percepisce di essere agito da una forza oscura che lo trascina verso la disintegrazione.

Molti casi clinici descrivono pazienti che, durante stati interpretati come possessione, manifestano crisi dirompenti, urla, autolesionismo e aggressività. Letti attraverso la lente teorica della pulsione di morte, tali comportamenti potrebbero rappresentare un tentativo paradossale di liberazione: distruggere sé stessi per ridurre la tensione interna e placare un dolore indicibile. In quest’ottica, il “demone” non sarebbe un’entità esterna, ma la proiezione di un conflitto interiore che non riesce a trovare altra voce.

Il lutto, in questa prospettiva, occupa un posto centrale. Elaborare una perdita significa riconoscere l’assenza e accettare che qualcosa o qualcuno non ritornerà più. Quando questo processo fallisce, la psiche può ricorrere a strategie difensive: il delirio, la fuga nella religiosità estrema o la proiezione su un’entità demoniaca di colpe e sofferenze. In questa chiave, il diavolo diventa il volto simbolico del lutto non elaborato, una figura che incarna la perdita e la morte, rendendole più tollerabili perché esternalizzate.

Il filosofo e psichiatra Eugenio Borgna ha osservato come l’esperienza del demoniaco si intrecci con l’impossibilità di pensare la propria fine. Quando la morte e il lutto vengono rimossi o taciuti, la psiche può trasformarli in immagini perturbanti e oscure. In tal senso, la possessione può essere interpretata come una drammatizzazione collettiva di un dolore che non riesce a essere espresso a parole: un grido corporeo, una ribellione dell’inconscio contro il silenzio del conscio.

Il rito dell’esorcismo, solitamente compreso in chiave religiosa, può anche essere letto, in termini simbolici, come una forma di psicodramma: un palcoscenico in cui il soggetto riversa le proprie angosce e, attraverso la partecipazione del gruppo, sperimenta una catarsi. La lotta tra esorcista e demonio diventa così il simbolo della battaglia interiore tra Eros e Thanatos, tra il desiderio di vivere e la tentazione del nulla. Freud stesso notava come i rituali potessero avere una funzione catartica simile, in grado di alleviare tensioni psichiche e restituire un senso alla sofferenza. Analogamente, Milton Erickson, pioniere della psicoterapia ipnotica, mostrò come l’uso di simboli, metafore e rituali potesse attivare nel paziente risorse interiori e favorire processi di guarigione e riorganizzazione psichica.

In molte culture, la possessione ha avuto anche una funzione sociale: offrire alle persone più fragili, spesso donne o individui marginalizzati, uno spazio di ascolto e di riconoscimento. Il demone, in queste letture, non rappresenta soltanto il male assoluto, ma anche un tramite attraverso cui la comunità riconosce il dolore e ne condivide il peso. La possessione può allora essere compresa come un linguaggio del corpo che esprime, davanti agli altri, ciò che non può essere detto apertamente.

L’antropologia ha inoltre evidenziato come, in certi contesti, lo “spirito maligno” possa assumere un ruolo paradossalmente costruttivo: una forza con cui entrare in relazione, più che un nemico da espellere. Questa visione suggerisce che la possessione non è necessariamente solo distruttiva, ma può anche costituire una forma di elaborazione simbolica del dolore e del lutto.

Al di là delle credenze religiose, riflettere su questi fenomeni può aiutarci a comprendere quanto siano universali i temi della morte e della perdita. La possessione, in senso simbolico, parla della difficoltà umana di accettare la fine, del bisogno di dare un volto al dolore e di trasformare l’angoscia in narrazione. Thanatos e lutto diventano così due poli interpretativi che trovano nella figura del demone una rappresentazione potente e inquietante.

Forse, dietro le urla dell’indemoniato, si cela il grido di chi non riesce a piangere un’assenza; o forse, dietro l’ombra del diavolo, si intravede il volto fragile dell’uomo, sospeso tra il desiderio di vivere e la tentazione di lasciarsi andare. In questa tensione si riflette una verità psicologica profonda: la morte e il lutto non sono solo esperienze individuali, ma assumono anche una dimensione collettiva, trasformandosi in racconti, rituali e simboli condivisi.

Accettare il lutto significa allora integrare Thanatos nel tessuto della vita, senza negarlo né lasciarsene travolgere. La possessione diabolica, nella sua drammaticità, può essere vista come una potente metafora del conflitto umano tra distruzione e rinascita. I “demoni interiori” non rappresentano soltanto il male, ma anche un messaggio: ci parlano della fragilità e della paura, ma anche della possibilità di trasformarle in forza vitale.

Riferimenti bibliografici

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