L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parla della violenza come l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del proprio potere contro sé stessi, contro un’altra persona o contro un gruppo/comunità, tale da determinare (sia in termini di probabilità che in termini di effettivo esito) lesioni fisiche, danni psicologici ed esistenziali, problemi nello sviluppo (nel caso dei bambini), morte. Per parlare di violenza è quindi fondamentale il concetto di intenzionalità (dell’atto o della minaccia dell’atto), di forza e di eccesso.
Sempre più spesso e in più ambiti, si sente parlare di violenza relazionale: un problema complesso che presenta radici profonde sia nell’ambito delle dinamiche individuali che nella società. Sono sempre più frequenti gli episodi di violenza che maturano nei vari contesti quotidiani, famiglia, lavoro, gruppo dei pari e che si manifestano nelle sue diverse forme, dalla violenza verbale a quella fisica, da quella sessuale al mobbing, dalla violenza psicologica a quella economica. Le cause possono essere molteplici, inclusi fattori individuali come traumi infantili, disturbi psicologici o dipendenze, ma anche fattori socioculturali come modelli di genere patriarcali e stereotipi dannosi.
Tra i fattori individuali è possibile rintracciarne le cause nei traumi infantili, pensiamo alle esperienze di abuso o violenza vissuti durante l’infanzia e che possono determinare atteggiamenti e comportamenti violenti nell’età adulta; il rischio di episodi violenti può essere acuito da disturbi di natura psicologia, quali episodi depressivi, disturbi d’ansia o disturbo post-traumatico da stress e disturbi della personalità per concludere con esperienze di dipendenza, è risaputo infatti che l’abuso di alcool e di droghe sfociano, spesso, in comportamenti di violenza relazionale.
Tra i fattori socio-culturali troviamo i modelli di genere, basti pensare al modello patriarcale che, promuovendo la superiorità maschile e la subordinazione femminile, è in grado di contribuire allo sviluppo della violenza di genere. Ancora oggi sono molto diffusi stereotipi di genere che associano agli uomini tratti di dominio e alle donne tratti di sottomissione e fragilità e che spesso finiscono con il normalizzare la violenza nelle relazioni. Sempre più spesso si sente parlare di una cultura della violenza che considera quest’ultima come un possibile strumento di risoluzione dei conflitti, sia nei contesti familiari che in quelli più ampi come la scuola, il campo lavorativo, il gruppo dei pari.
La presa in carico di chi denuncia atti violenti di varia natura, è un compito alquanto complesso e delicato e che vede impegnato lo psicologo che svolge un ruolo cruciale nell’ambito di tale settore, offrendo supporto alle vittime, intervenendo nella gestione delle dinamiche familiari disfunzionali e contribuendo alla prevenzione e sensibilizzazione. In particolare, lo psicologo può essere coinvolto in diverse fasi, dalla valutazione iniziale, al sostegno durante il percorso di uscita dalla violenza, fino al lavoro di elaborazione del trauma e alla ricostruzione della propria vita.
Un primo passo è rappresentato da una corretta diagnosi degli effetti psicologici della violenza, seguita da una serie di interventi che mirano a far sentire la persona che ha avuto il coraggio di chiedere aiuto capita, “protetta”, sostenuta, aiutata; a tal fine lo psicologo offre uno spazio sicuro e non giudicante per le vittime, dove possono esprimere le proprie esperienze e il proprio dolore.
Valuta l’impatto della violenza sulla vittima, identificando eventuali traumi, disturbi psicologici e bisogni specifici.
Aiuta la vittima a elaborare il trauma, a ricostruire la propria autostima e ad acquisire strategie per affrontare le conseguenze della violenza.
Se coinvolti minori, lo psicologo valuta la loro situazione, offrendo supporto e intervenendo per proteggere il loro benessere psicofisico.
Se necessario, può lavorare con l’intera famiglia per affrontare le dinamiche disfunzionali e promuovere relazioni più sane.
Importante risulta anche l’impegno a livello di prevenzione e informazione, pertanto lo psicologo svolge un ruolo attivo nella diffusione di informazioni sulla violenza di genere, sensibilizzando la società e promuovendo la consapevolezza. Spesso è chiamato a collaborare con le scuole per educare i giovani sui temi della violenza, delle relazioni sane e del rispetto reciproco e contribuisce a creare una cultura in cui la violenza non è tollerata e in cui le vittime possono trovare sostegno e protezione.
Nell’ambito legale, lo psicologo può essere chiamato a valutare la credibilità delle testimonianze e a fornire consulenza tecnica sui temi della violenza ed è spesso chiamato ad indagare su situazioni di violenza, soprattutto quando si tratta di minori o quando c’è difficoltà a riconoscere la non consensualità del rapporto.
Quella dello psicologo è, dunque, una figura chiave nell’affrontare la violenza relazionale, offrendo supporto alle vittime, intervenendo nelle dinamiche familiari, promuovendo la prevenzione e contribuendo a creare una società più consapevole e rispettosa.